Lockdown
Lockdown
Lockdown: come trasformare un ostacolo in una opportunità.
Tornare alla normalità, assicurando la salute fisica e mentale.
Il distanziamento imposto dall'emergenza Covid ha creato problemi psicologici, disturbi dell'umore, ansia, in alcuni casi anche depressione.
Rosanna Chifari: “Bisogna tornare presto alla normalità, assicurando la salute fisica e mentale della popolazione”
Intervistiamo la dottoressa Rosalia (Rosanna) Chifari Negri, medico chirurgo e quotata neurologa, stimata studiosa e ricercatrice universitaria, autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e vincitrice di diversi premi internazionali, milanese di adozione ma orgogliosa nobildonna siciliana, cristiana cattolica molto devota, attiva in diverse associazioni culturali e iniziative sociali, da liberaMente alla Casa Pediatrica Fatebenefratelli.
Nel periodo della quarantena da Covid sono stati segnalati un aumento dei problemi psicologici e disturbi dell’umore. Di cosa si tratta e come fronteggiarli?
Di fatto si è registrato un aumento di disturbi legati al tono dell’umore quali ansia, disturbi del sonno e talora deflessione del tono dell’umore fino alla depressione. Diciamo subito che un lieve stato di ansia lieve in una situazione di emergenza che viene percepita come “rischio di vita” è assolutamente fisiologica, tuttavia per prevenire un eccesso dello stato ansioso potrebbe essere utile quella che nel linguaggio comune può definita la “magia del fare”
Ossia?
Ossia creare una nuova routine in cui si scelgono secondo le proprie attitudini e passioni delle attività che possono andare dal cucinare, al dipingere, al fare attività fisica, anche attraverso corsi on line. Siamo in grado di far emergere delle risorse inaspettate, trasformando cosi un momento di difficoltà in una opportunità, per esempio si potrebbe imparare una nuova lingua o approfondire la vita spirituale. Questo comportamento ci consentirebbe di staccare il pensiero da un circuito chiuso che si è venuto a creare sotto forma di pensiero ricorrente, che rischia di diventare ossessivo e quindi patologico. Naturalmente nel caso la componente ansiosa, a cui spesso conseguono disturbi del sonno, raggiungesse dei livelli patologici è utile, con l’indicazione dello specialista neurologo, assumere una terapia farmacologica. La terapia deve essere somministrata in modo adeguato, sotto stretto controllo specialistico, per evitare eventuali fenomeni di dipendenza.
Ma e ‘proprio necessaria in questi casi?
Si, per che nel caso di una condizione di ansia patologica o di depressione no siamo di fronte ad un a disturbo di ordine puramente psicologico, ma a lungo andare si modifica la struttura del cervello, cambiamo cioè dal punto di vista biochimico, quindi in questi casi la “ restitutio ad integrum”, cioè il ritorno alla normalità necessita di un supporto chimico, quindi farmacologico.
Intervistatore : se per un adulto è cosi difficile affrontare questa situazione immagino lo sia ancor di più per i bambini. Come secondo lei bisogna rapportarsi con loro?
Innanzitutto bisogna tenere presente che i bambini hanno una capacità di resilienza, ossia la capacità di superare un evento traumatico che è superiore alla nostra. Un modo efficace per aiutarli, tenendo presente la loro straordinaria capacità di comprensione, è parlare ai bambini utilizzando lo strumento della verità, sia nei contenuti sia dal puto di vista emozionale. Mi spiego meglio: se motiviamo con chiarezza ai bambini che la necessità di questi comportamenti limitanti è dettata da una esigenza di tutela e di protezione, non solo nei loro confronti , ma anche nei confronti di adulti più fragili (es .nonni) verso cui vanno responsabilizzati, I bambini saranno pronti ad accettare queste argomentazioni e a mettere in atto comportamenti responsabili , se motivati con chiarezza e sincerità assoluta.
Vedo che insiste molto sul tema della verità con i bambini, come mai?
Perche ‘ i bambini capiscono dal linguaggio del corpo, dalla mimica facciale se mentiamo e questo potrebbe creare un problema di fiducia che si può riverberare anche successivamente nell’adolescenza. Se ad esempio un bambino chiede alla madre se è spaventata, questa dovrebbe rispondere con sincerità e serenamente, perchè se mentisse il bambino se ne accorgerebbe e comincerebbe a dubitare della sua capacità di leggere le emozioni e questo potrebbe comportare delle conseguenze sul piano psicopatologico nelle età successive.
Intervistatore : grazie dr.ssa è stata molto esauriente. Mi chiedevo come rapportarsi invece con gli adolescenti che in questo periodo abusano degli strumenti tecnologici
L’adolescenza è un periodo estremamente delicato. Anche in questo caso entra in giuoco il dialogo e il rapporto fiduciario. Va da se, che in una situazione straordinaria come questa, in cui gli adolescenti fanno scuola on-line e viene quindi loro richiesto di utilizzare la tecnologia per molte ore al giorno, è ben difficile spiegargli perché debbano limitarsi nell’uso dei device nel sociale . Sappiamo dalla letteratura scientifica che l’uso eccessivo del PC, di internet e del cellulare causa problemi neurologici quali deficit di memoria, di concentrazione e di conseguenza di apprendimento. Il terreno comune che si può trovare con l’adolescente è senz’altro il compromesso. L’ho imparato da mia figlia che è un’abilissima dealer ..Bisogna comunque far comprendere l’importanza del limite , quindi porre dei limiti temporali per es di massimo due ore al giorno, limitando quindi , ma non impedendo la gestione automa e responsabile dell’adolescente .Potrebbe essere utile canalizzare la loro energia verso altre attività soprattutto di tipo manuale dal cucinare , alla ceramica al bricolage , alla pittura creativa .Insomma le possibilità sono numerose , magari offrendosi di farle insieme, creando cosi una sorta di ritualità comune .
Secondo lei anche i suoi colleghi in prima linea sono coinvolti da empasse psicologici di questo tipo ?
Si ha, nell’immaginario collettivo, l’errata convinzione che i medici siano esenti da malattie. In realtà non è cosi, le confesso che ho ricevuto numerose richieste di aiuto da parte di colleghi in prima linea coinvolti nella lotta al Covid , in particolare anestesisti, soprattutto nella fase critica . Bisogna rendersi conto che Veder morire in continuazione i propri pazienti in una situazione di percezione soggettiva di impotenza può determinare una sindrome simile a quella dei soldati che ritornano da una battaglia cruenta. La sindrome post-traumatica da stress. Un esempio riccamente documentato nella letteratura scientifica è quello dei soldati reduci dalla guerra in Vietnam.
Potrebbe spiegare ai nostri lettori cos’è la sindrome post-traumatica da stress?
Certamente. Dal punto di vista clinico la sindrome da stress post-traumatico è una patologia psichiatrica che coinvolge una persona che ha subito direttamente un trauma significativo (esempio guerra, cataclisma) e sviluppa un set di sintomi chiave quali: pensieri intrusivi che fanno rivivere il trauma, flashbacks, incubi. Tipico è il senso di colpa, un persistente stato di emozioni negative (paura, colpa, vergogna), incapacità di provare sentimenti positivi. A tutto ciò si possono aggiungere disturbi del sonno, dell’umore, irritabilità, e scoppi di rabbia fino a reazioni molto violente.
Un cosa molto seria dunque. Cosa bisogna fare?
Si.. è molto seria, in questa sindrome si possono avere delle modificazioni anatomiche di alcune zone del cervello, e alludo in particolare all’amigdala, che presiedono il comportamento. Fattivamente la prima cosa è riconoscere la sindrome per poterla trattare. Il trattamento avviene attraverso due approcci: Cognitivo-comportamentale e farmacologico.
Potrebbe chiarire di che si tratta?
La prima consiste nella graduale esposizione a situazioni che evocano la paura nel soggetto fino ad ottenere una desensibilizzazione, una sorta di “abitudine”, insomma. Per quanto riguarda la terapia farmacologica la prima scelta sono antidepressivi, più specificatamente appartenenti della classe degli inibitori del reuptake della serotonina. In sostanza aumentano la disponibilità della serotonina nel cervello, il neurotrasmettitore della “felicità”.
Secondo lei cosa succederà nel post-coronavirus?Avremo una società in burn out?
La sindrome da BurnOut è l'esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d'aiuto, a stretto contatto, anche motivo, con il pubblico, ( medici, infermieri , insegnanti) qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere. ¡ E’ una sindrome multifattoriale caratterizzata da un rapido decadimento delle risorse psicofisiche e da un peggioramento delle prestazioni professionali. Il modo migliore per prevenire il Burnout è sicuramente puntare sulla promozione dell'impegno nel lavoro. Ciò non consiste semplicemente nel ridurre gli aspetti negativi presenti sul posto di lavoro, ma anche nel tentare di aumentare quelli positivi. Le strategie per aumentare l'impegno sono quelle che accrescono l'energia, il coinvolgimento e l'efficacia, sostenendo i lavoratori, permettendo loro di affermarsi tra i loro colleghi, lasciando loro dell'autonomia nelle decisioni da prendere ed offrendo loro un'organizzazione del lavoro chiara e coerente, ecc…
Cosa può fare un operatore sociale quando riconosce in sé i sintomi del BurnOut?
L’unica cura per il BurnOut è introdurre un cambiamento radicale nella propria vita professionale. In aggiunta a tale cambiamento, può essere necessario un periodo di psicoterapia. Tuttavia, nella specifica situazione post-COVID, malgrado le difficoltà, la sensazione è che ci sarà una grande desiderio di ripresa ,analogamente a quanto avvenne nel dopoguerra.
Grazie Dr.ssa Chifari, mi permette una domanda provocatoria ?
Prego, possono essere le più stimolanti…
Crede che la gestione della emergenza sia stata fatta in modo corretto? Cosa si sarebbe potuto fare diversamente ?
Guardi col senno del poi siamo tutti bravi a pontificare, per cui le riferirò l’opinione di chi col senno del “prima”, mi permetta questo neologismo,con competenza ed efficacia ha messo sul tavolo in tempi non sospetti il protocollo , che è stato applicato tardivamente ( nelle epidemie il timing di intervento fa la differenza tra l’estensione del contagio e quindi la vita e la morte). Mi riferisco all’ex presidente della commissione sanità del Senato Antonio Tomassini, con cui ho collaborato in passato, che ha dimostrato competenza e buon senso. Le riporto il suo pensiero attraverso un suo documento. “L’attuale emergenza per la pandemia COVID sicuramente ha colpito tutti di sorpresa, ma anche qui dobbiamo pensare che alcune cose non erano prevedibili. Da tempo ad esempio c’era una forte deflessione di ricoveri per malattie infettive: ad esempio l’AIDS, uno dei peggiori flagelli, che aveva richiesto un grande impegno economica per strutture dedicate che attualmente sono in gran parte inutilizzate. Pertanto ci siamo trovati nel mezzo dell’epidemia con una trasformazione del sistema in gran parte da completare, e quindi senza la sufficiente cultura per affrontare l’emergenza, ma di questo non si può incolpare un passato da cui discende una transizione coerente e condivisibile. Ai primi allarmanti segnali del COVID sono stati intrapresi correttamente tutti i percorsi di prevenzione possibile ma di quella che si definisce prevenzione passiva: molto basata sulla cultura della prevenzione individuale e di quella sul contenimento pubblico. Anche in questo si possono segnalare errori: essere andati nei luoghi d’infezione “a mani vuote” e senza sufficienti protezioni, avere incanalato i malati negli stessi luoghi di cura e percorso dei sani, avere consentito inutili sanificazioni di strade ed ambienti, aver chiuso parchi pubblici, laddove proprio nei luoghi aperti vi è la maggiore diluizione dell’infezione, non essere stati sufficientemente selettivi tra cosa consentire e cosa proibire, per cui chiuse attività utili ed aperte attività poco necessarie. A tutto ciò, ripeto, si deve dare un giudizio indulgente e comprensivo, considerando la immediatezza del “fattore sorpresa”. Bisogna dire che c’è da rimanere commossi e riconoscenti per la tanta obbedienza dei cittadini e la tanta generosa abnegazione di chi è dedicato ai servizi ed in particolare a quelli sanitari. Ora però questa fase ormai datata da oltre un mese ha prodotto il suo massimo effetto ed è quindi necessario passare dalla prevenzione passiva fatta finora ad una prevenzione attiva. Questa decisione non riguarda solo il tema della sanità, ma riguarda tutto il sistema sociopolitico. Quale modello seguire? Quello della Cina, enfatizzato, fatto di silenzio, di dati incerti non verificabili, di maneggi di pericolose sostanze, la cui credibilità scientifica non è stata verificata? O piuttosto il modello Corea, simile in Europa a quello della Svezia, molto attivo, tendente a separare i “sani” rispetto ai “malati” (paucisintomatici, sintomatici, gravi) e seguire poi con i dati individuali tutti i selezionati? Appare chiaro che abbiamo i giorni contati per poter pensare ad un percorso che consenta nel breve un riavvio ed una ripresa della vita socioeconomica lavorativa più normale. Se spesso assimiliamo l’attuale condizione ad una guerra, dobbiamo ricordare che nella Prima Guerra Mondiale, dopo Caporetto, ci fu la Linea del Piave per la Resistenza, e poi la nuova coscrizione che scelse persone più giovani, talvolta giovanissime, da rimandare al fronte e ciò ci consentì una grande vittoria, pur con un tributo rilevante di morti. Un insegnamento già utile per la sanità è emerso con chiarezza. Quella sanità oltre a concludere il percorso di transizione deve prepararsi ad una precisa cultura dell’emergenza per far fronte a questa ed altre simili calamità. Noi per ora abbiamo pensato all’emergenza come un problema di “protezione civile”, in cui siamo tra le più belle realtà mondiali integrando nell’azione vigli del fuoco, esercito, polizia, croce rossa (con qualche rimpianto d’aver abolito il corpo militare) ed associazioni di volontariato. La sanità proprio in questa evenienza ha mostrato come poco sia integrata in questo sistema e poco preparata ad una flessibilità che ci potrà venire spesso chiesta in futuro (nuove epidemie virali, inquinamenti ambientali, disastri nucleari ecc.).
Tutto ciò richiede: 1) task force (medici, infermieri, servizi specializzati) precettabili in breve tempo; 2) ospedali mobili ed accoglienze per vasti strati della popolazione, materiali specifici in grande quantità (ad esempio mascherine, apparecchi di respirazione e device avanzati); 3) percorsi e linee di cure distinti e separati dall’ordinario; 4) sviluppare quanto già era stato avviato a seguito della SARS. e della MERS: laboratori, centri di triage e unità di valutazioni, tecnologie avanzate, centri di ricerca specifici (per terapie, innovazioni tecnologiche, sistemi diagnostici innovativi); 5) una rigida linea gerarchica di decisione e comunicazione che eviti la babele delle informazioni e soprattutto impedisca le informazioni false e pericolose.
Sentiamo spesso ripetere, soprattutto al fine di avere una formale unitarietà e poco dissenso, che ogni decisione viene presa al fine di tutelare la salute dei cittadini. La domanda spontanea: ma quale salute intendiamo tutelare? Quella che riguarda l’epidemia COVID? Quella che riguarda le altre malattie di cui sembriamo esserci dimenticati? Quelle del benessere fisico, mentale, economico? Tutti sono elementi fondamentali per la salute, e bisogna fare necessariamente delle scelte per decidere quali far prevalere o qual è il punto più avanzato di equilibrio per salvaguardarle tutte! “ Ritengo le posizioni del senatore più che condivisibili.